Julius Evola Pittore
Homo Faber Julius Evola tra arte e alchimia viene pubblicato per la prima volta nel 1994.
Da quel momento il testo apre un felice periodo di riscoperta della pittura evoliana.
Julius Evola pittore accende nuovo interesse internazionale e dipinti inediti ritrovano
la luce da collezioni private.
La figura dell'artista e dell'uomo incontra l'entusiasmo del pubblico e affascina nuovi estimatori.
Dopo quasi trent'anni l'onda evoliana non si è fermata.
Lo conferma la nuova edizione del libro e la mostra Julius Evola Lo spirituale nell'arte,
dal 15 maggio al Mart di Rovereto a cura di Beatrice Avanzi e Giorgio Calcara.
L'approfondimento sull'uomo e sull'artista è racchiuso nelle parole dell'autrice
del libro Elisabetta Valento, che ringraziamo per la gentile intervista:
- Dalla fine degli anni '90 in poi la figura artistica di Evola vive
una invidiabile riscoperta. Complice il centenario dalla nascita del barone
che offre l'occasione per nuove mostre, e le celebrazioni delle avanguardie Futurismo
e Dadaismo. Ci sono state anche altre suggestioni che hanno favorito la riscoperta
per l'artista e le sue opere? Cosa hanno rappresentato questi ultimi quasi trenta anni di ricerca?
Onestamente non so se ci siano state delle suggestioni particolari oltre a quelle provocate
dagli eventi relativi alla commemorazione del centenario della nascita di Evola, che di certo
hanno riacceso l'attenzione anche sull'attività artistica, o semplicemente
delle casualità come, per esempio, il proliferare di tesi sull'Evola artista o la messa all'asta
su mercati internazionali di sue opere o di opere a lui ascrivibili, che hanno favorito la
riscoperta di questo aspetto del percorso evoliano.
Dal punto di vista della ricerca, quanto rinvenuto negli ultimi 30 anni ha comportato
un interessante arricchimento sia del materiale iconografico sia di quello documentale,
che fornendo maggiori informazioni sull'attività promozionale della poetica dada
riconfermano la consapevolezza dell'agire di Evola artista, strutturato e determinato
rispetto alla sua arte e al suo voler portare avanti una diversa concezione dell'arte rispetto
a quella dominante rappresentata principalmente, almeno in Italia, dal Futurismo.
- Nel 1917 Julius Evola si arruola e fa l'esperienza della prima linea.
Come si concerta l'elemento guerra nell'attività pittorica evoliana rispetto al Futurismo?
Sostanzialmente senza differenziarsi troppo da quello che era il modus operandi futurista.
Evola non fa, o quantomeno non conosciamo, opere "interventiste" essendo allineato
idealmente su posizioni diverse ma comunque si arruola e combatte, e nelle opere già note,
o in altre recentemente ritrovate e che potrebbero essere una rappresentazione della guerra,
essa vi è raffigurata mediante linee dinamiche e fiammeggianti e con una certa
giocosità tipicamente futuriste.
Penso, per esempio, a un'opera battuta da Christie's nel novembre del 2011
(https://www.christies.com/en/lot/lot-5511761).
Secondo me, seguendo una felice intuizione di Giorgio Calcara che mi trova totalmente
d'accordo, questo dipinto, che ricorda molto Fiori del 1918 circa, potrebbe essere identificato
con Shrapnel esposto nella Grande Esposizione Nazionale Futurista inaugurata nel marzo 1919.
Delle opere esposte da Evola in quell'occasione, ben quattro, resta una suggestiva descrizione
fatta da Paul d'Olan per il Mercure de France che riporto nel volume Homo faber (pagine 40-41)
e che mi consente di avanzare questa ipotesi.
Lo stesso vale anche per altre due opere inserite in Homo faber a corredo dell'Appendice
a cura di Giorgio Calcara (la quarta e la quinta foto, per quest'ultima quindi la datazione
andrebbe fissata al 1918).
In particolare Senza titolo del 1918 potrebbe benissimo essere identificata come Dreadnought.
Dreadnought è una corazzata con cannoni di grosso calibro in più torri e quel dipinto di Evola
sembra propria una rappresentazione plastica di quella corazzata.
Queste opere mostrano di essere in continuità con gli stilemi futuristi e con rimembranze,
già viste in altri suoi dipinti, del Secessionismo.
- Nel periodo dell’“astrattismo mistico”, Evola inizia a dipingere i quadri che
chiama “paesaggi interiori” o paesaggi Dada. Come si contraddistingue questa
tematica di ricerca interiore in Evola?
Rispetto ai "paesaggi" dettati dagli stati d'animo così come li possiamo vedere
nelle opere straordinarie di Boccioni sul tema, Evola elimina l'elemento dinamico
- inteso come un flusso in cui, secondo il pensiero di Henri Bergson, l'interno non
solo reagisce all'esterno ma a sua volta lo modifica - raggelando il "paesaggio interiore",
fermato in un istante in cui l'esterno è eliminato.
È quasi una sorta di istantanea di quanto preparato su un vetrino,
un momento non emozionale ma squisitamente intellettuale o meglio sapienziale.
E questo processo è alimentato dall'alchimia. Nel "viaggio" alchemico la coscienza
interiore non deve essere ridotta ma bensì potenziata, nel mutamento si è attivi,
lo si è prodotto e alimentato, si agisce e non si è agiti e in quell'analitica del
processo trasmutativo l'Individuo manifesta il suo potere, la sua volontà.
- L'avanguardia futurista si mostrava riottosa nei confronti del Dadaismo,
Evola al contrario non pone questo limite. Cosa contraddistingue il dadaismo evoliano?
È nel segno di una rivolta legata a un travaglio esistenziale in cui si intrecciano
l'isolamento, l'uso di droghe, la critica al mondo moderno, l'avvicinarsi agli ambienti
spiritualistici, che va inserito il suo rivolgersi a Dada.
Per Evola il superamento dell'umano si ha con Dada che spinge la sua opera distruttiva
sino alle estreme conseguenze che in lui si traducono nella ricerca di un Io che ha
il potere di essere e non essere indifferentemente.
Ma l'adesione di Evola a Dada va ricercata anche in quel programma astrattista
ampiamente divulgato nel Manifesto degli artisti radicali del 1919 che fu anche
il primo manifesto dadaista a essere tradotto e pubblicato in Italia.
Dal punto di vista della prassi artistica l'esperienza dadaista di Evola è connotata
da un particolare astrattismo che sfugge a una collocazione precisa pur
riconnettendosi a un ambito mittleuropeo post-blauteriano dato anche dalla
convergenza teorica con Kandinsky, ed è forse questa convergenza ciò che
più lo contraddistingue nel panorama dadaista.
Le opere di quel periodo sono talvolta di sapore vagamente "costruttivista",
più frequentemente però sono costituite da immagini che paiono liquefarsi,
sempre comunque all'interno di un impianto definito spazialmente in modo geometrico,
come mondi in formazione in cui l'arbitrarietà di ritmi e linee conduce alla
distruzione dei normali registri di una realtà intossicata di umanità alla quale
si contrappone il simbolo, il presentimento di una realtà "altra" affidata
allo spettatore quale effettivo ricreatore dell'opera, e nella quale, come in
molti Paesaggi dada (1920-21), la forma sembra sperimentare se stessa.
- Nelle opere pittoriche Evola rivela la sua ricerca espressiva nel colore, ma non nei materiali.
Può spiegarci meglio tale scelta?
È difficile, se non impossibile spiegare perché un artista sceglie un determinato
mezzo artistico.
Evola sceglie di essere un pittore sostanzialmente tradizionale dal punto
di vista della scelta dei materiali, la contaminazione con oggetti per così dire
estranei non viene mai contemplata neanche a livello teorico.