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C'era una volta la Fiaba

Intervista a Massimo Centini

C'erano una volta le fiabe per bambini, le fiabe classiche che spesso iniziano in un regno lontano lontano per finire con “e tutti vissero felici e contenti”.
Almeno nelle versioni più note arrivate fino a noi.
Ma è proprio sempre così?
Ad osservare bene, la fiaba spesso intreccia trame dai risvolti poco adatti ai più giovani.
Tematiche grottesche e cruente hanno reso celebri i piccoli Hänsel e GretelBarbablù o Il pifferaio magico.
Potrebbe stupirci anche La bella addormentata di Charles Perrault, versione originale che narra l'incontro tra la protagonista e la perfida madre dello sposo.
Ai lati oscuri del mondo fiabesco è dedicato il libro Fiabe criminali dell'antropologo Massimo Centini, un sorprendente viaggio nell'universo della fiaba e nei suoi aspetti noir.

Come spiega Centini, l'elaborata complessità della fiaba rappresenta un laboratorio antropologico e psicoanalitico di grande interesse.
Nell'evoluzione della fiaba ritroviamo molti temi culturali, particolari legati alla linguistica, all’origine e alla diffusione di miti, eventi realmente accaduti, aspetti legati all'inconscio e molto altro.
Il fascino della fiaba c'era una volta e c'è ancora, proviamo allora a scoprire meglio cosa sono le fiabe: ne parliamo con l'autore Massimo Centini, che ringraziamo per la gentile intervista.

Le fiabe sono i prodotti della tradizione popolare, trascritti tra XVIII e XIX.
Esattamente come nascono le fiabe e quale era il loro scopo?
È una domanda difficile: si tratta di prodotti nati per essere trasmessi oralmente e quindi oggetto di interventi da parte dei narranti. Lo scopo era in parte pedagogico e didattico, anche se va detto che nelle fiabe sono attivi meccanismi inconsci, trasversali alle culture e all’età di chi le ascolta.

Definisce la fiaba "un laboratorio antropologico e psicoanalitico", ci spiega perché?
Perché, al di là dell’apparenza, le fiabe sono un agglomerato di materiali etnografici, antropologici, psicologici di grande interesse. Non è infatti un caso che i motivi narrativi delle fiabe presentino una struttura ricorrente praticamente in tutti i Paesi del mondo.

Fiaba come percorso iniziatico?
Anche questa è una chiave di lettura, che può ampliarsi con sfumature esoteriche.
Un esempio indicativo credo possa essere notato in Pinocchio, che ci propone appunto l’evoluzione da burattino a bambino in carne ossa come un percorso iniziatico.
Sono infatti presenti vari passaggi che scandiscono il processo di crescita come tappe per giungere al risultato finale: il passaggio di status.

Le fiabe, anche da continenti diversi, rispondono a un determinato schema?
Assolutamente. Ne diede in passato una testimonianza indiscutibile Vladimir Propp, con studi fondamentali che hanno aperto, con il libro Morfologia della fiaba, innumerevoli piste di ricerca e approfondimento. In seguito al contributo della psicoanalisi, l’interpretazione si è allargata, guardando in direzione degli archetipi e dei meccanismi simbolici.

Quindi il simbolo è fondamentale nel linguaggio delle fiabe?
Il simbolo è una materia incredibilmente duttile, che noi utilizziamo continuamente nelle molteplici espressioni della nostra cultura. Nella fiaba svolge un ruolo determinante, poiché fissa valori e caratteristiche immediatamente riconoscibili nella società in cui una certa fiaba si afferma.

Modificare tale linguaggio cosa comporta?
Le fiabe sono state modificate da sempre: la prima grossa variante fu determinata dal passaggio dall’oralità alla scrittura. Poi, ogni narratore – dal professionista di società a livello etnologico alle nostre nonne – ci ha messo del suo, dando alla fiaba una struttura dinamica, in progress.

Perché fiabe criminali?
Perché numerose sono un campionario di violenze e di nefandezze che lascia intravedere una consapevole enfatizzazione della brutalità, spesso agita con forme estreme.
Nelle loro trame vi sono infatti tematiche certamente poco adatte ai bambini (paradossalmente) e con sfaccettature anche violentissime: omicidi, stupri, pedofilia, antropofagia, ecc. Infatti, non è un caso che le fiabe siano state ampiamente studiate dal punto di vista della psicoanalisi.

Aveva una fiaba preferita da bambino?
Mi viene in mente Pollicino, perché trattava di un bambino che sapeva togliersi d’impiccio salvando i fratellini e poi – come la maggior parte delle fiabe – alla fine tutti “vissero felici e contenti”.

E da antropologo ha una fiaba preferita?
Onestamente non so rispondere e le spiego perché: avendone studiate tante in Paesi molto lontani e avendo constatato che sono strutturate su temi e motivi ricorrenti, quanto mi colpisce è la loro forma.
Ecco potrei dirle che tra le mie preferite ci sono quelle che hanno come argomento ricorrente la metamorfosi.

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