Il barone e i terroristi.
Le prove documentate che Evola non è mai stato un "cattivo maestro". Ci sono stati eventulamente "cattivi discepoli" ed esegeti in mala fede. Julius Evola (1898-1974) continua ad essere ancora l’ultimo tabù della cultura italiana, che pure tanti “eretici” – letterari, morali, ideologici – ha generosamente accolto nel suo seno. Pittore, poeta, filosofo transidealista, metafisico della civiltà, esoterista, ermetista, orientalista, autore infine di opere di metapolitica, sessuologia e orientamenti esistenziali, apprezzato da noti specialisti italiani e stranieri, tradotti in una dozzina di lingue, per lui vale il detto nemo propheta in patria. In Italia, infatti; l’intellighenzia dominante è solita rammentarne solo certi aspetti che si ritengono negativi – ma che non valgono per altre personalità – al fine esclusivo di ignorarlo, squalificarlo e demonizzarlo. Ciò non impedisce affatto che la sua visione del mondo sia sempre più diffusa e nota. Una delle accuse più pesanti e più false è quella di essere stato il “cattivo maestro” di varie generazioni di giovani: all’inizio degli anni Cinquanta di coloro che poi vennero coinvolti nel cosiddetto “processo dei FAR”; quindi, post mortem, di coloro che alla fine degli anni Settanta si resero protagonisti del cosiddetto “terrorismo nero”. L’accusa, nata in ambienti intellettuali ben precisi, è stata poi ripresa e ampliata per un quindicennio da sociologi e politologi sia di sinistra come di destra, divenendo uno dei quei luoghi comuni che il giornalismo orecchiante riprende aprioristicamente. In questo libro - a metà strada fra il saggio storico e il pamphlet, la cronaca e l’indagine politica – Gianfranco de Turris ripercorre l’attività metapolitica di Julius Evola dal 1948 al 1974 spiegandone gli scopi e le modalità, i fini e le intenzioni, basadosi sui suoi scritti (libri, articoli, interviste) per lo più rari e dimenticati, oppure noti ma volutamente trascurati, e ricorrendo a molte testimonianze edite e inedite di chi visse in quei due periodi. In tal modo smonta pezzo per pezzo, citazione per citazione, l’inconsistente castello accusatorio messo su dal 1979 ad oggi, dimostrando che non è mai esistito un “cattivo maestro”, bensì, eventualmente, dei “cattivi discepoli” e per certo dei “cattivi esegeti”. Ne emerge il ritratto a tutto tondo di un pensatore che, in un mondo di rovine, aveva inteso; in buona fede, suscitare una rivoluzione spirituale facendo riferimento a quei valori perenni dai quali, al di là della contingenza storica, non si era mai allontanato. Da qui il titolo di questo libro: non solo difesa dalle false accuse, ma anche elogio di un pensatore anticonformista.