Una sorta di saggio biografico che si limita ai momenti essenziali, agli istanti in cui tutto si ribalta. Niente aneddoti, niente di simile a confidenze o a ricordanze ben cesellate: ma una ricerca dolorosa per sfuggire alla morte di questa vita, con in più uno sforzo quasi disperato di tradurre in parole l'indicibile: disponiamo di ben poveri mezzi per dire quel che abbiamo nel cuore...Quand'è che riusciremo a parlare in musica?Tragitto percorso in volata, per balzi successivi e successive effrazioni, il racconto non conosce preliminari né transizioni, mantenendosi in bilico costante, come preannuncia l'epigrafe, su un esilissimo crinale fra il disastro e la Meraviglia. Ci sono infatti esseri predestinati che per compiere il proprio destino, per vedere al di là dei loro occhi ed entrare fisicamente in consonanza con l'ignoto, sono obbligati a subire una lunga traversata di catastrofi.
Satprem ha conosciuto ben presto la prova radicale, quella che sradica un uomo per sempre: "era il 5 maggio del 1945, avevo ventun'anni e qualche mese, venivo fuori da un capannone brulicante di pidocchi e avevo già il tifo, che mi ero preso negli ultimi giorni nel campo di concentramento. Mi è stata salvata la pelle, non so perché." Attraverso percezioni improvvise, stupefazioni, commozioni brutali, gli succederà di sfuggire a questa vita umana impastata di morte vivente passando, nel bruciare di tutte le sue fibre, dall'altra parte. Ciò che a Satprem qui preme trasmetterci è un 'miracolo' strappato alla materia stessa del corpo — e come quel prodigioso 'nuovo sole' sia al di là d'ogni possibile parola.
Questo suo libro è un poderoso incitamento a tentare d'infiltrare il possibile nell'impossibile: a cambiare la morte per cambiare la Vita.
André Velter (Le Monde 9 febbraio 1990)