Pubblicati a Venezia nel 1570 ma attesi e lavorati per un ingente numero di anni, I quattro libri dell’architettura rappresentano la summa architettonica del tardo Rinascimento e il purissimo distillato della sapienza di Palladio: sapienza empirica, costruttiva, ma ciò nondimeno raffinata; lungamente ricercata e modellata sul fondamentale exemplum di due illustri predecessori: Marco Vitruvio Pollione e Leon Battista Alberti. In nessun modo tuttavia Palladio può essere considerato un semplice imitatore: la materia architettonica trattata – quadripartita in dottrina classica degli ordini, edifici dei privati cittadini, costruzioni di pubblica utilità, architettura religiosa antica – pur prendendo avvio dall’attenta lettura e dal rilievo del patrimonio monumentale dei Romani, si è trasformata in invenzione originale. Il “nuovo” classico di Palladio è lontano da ogni neoclassicismo di maniera: ciò che vive nella sua architettura – e ne fa un organismo unico, «uno intiero e bene finito corpo» – è un sistema di relazioni necessarie, perfettamente calcolate benché non manifestate apertamente: proporzionalità di cui geometria e musica si armonizzano. Difficilmente sopravvalutabili nella vastità della portata, I quattro libri di Palladio – per quanto spesso semplificati o equivocati – hanno influenzato l’architettura occidentale per i successivi quattro secoli, modificandola in modo irreversibile.