Der Arbeiter apparve in Germania nel 1932, quando il suo autore, Ernst Jünger
(1895-1998), aveva trentasette anni ed era un esponente di rilievo della Rivoluzione
Conservatrice.
La sua prima traduzione integrale in italiano si è avuta soltanto oltre mezzo secolo
dopo, nel 1985. Inutilmente, già negli Anni Cinquanta, come è documentato dalla
lettera inedita riportata nel libro, Julius Evola aveva cercato di farlo pubblicare; non
essendo riuscito nel suo intento, decise di realizzarne una lunga parafrasi commentata:
un saggio che alternava ad ampi brani dell’Arbeiter spiegazioni, giudizi, ampliamenti di
vedute, rettifiche di mira in base a coordinate più “tradizionali”, aggiornamenti
necessari per il secondo dopoguerra, in modo da renderla opera autonoma e personale.
Evola scelse di tradurre il titolo come “Operaio”, e non come “Lavoratore” o “Milite del
lavoro” secondo altre, peraltro autorevoli, proposte degli Anni Trenta.
Il volume apparve una prima volta nel 1960, quindi nel 1974.
La nuova edizione è integrata da una appendice che riunisce altri interventi evoliani
su Jünger pubblicati fra il 1943 e il 1974 che documentano l’evolversi del suo punto di
vista, ed un’ampia bibliografia italiana dello scrittore tedesco.
La scelta di Evola di presentare al lettore italiano proprio L’Operaio, tra le molte opere
di Jünger, è presto spiegata: si tratta infatti di quella maggiormente significativa del
primo periodo dello scrittore, che per Evola era il più importante, in cui si affronta nella
sua essenza il problema della visione e del significato della vita nell’epoca moderna,
soprattutto nell’era della tecnica.
Analisi di vivo interesse non soltanto negli anni in cui venne scritto, ma tuttora quanto
mai attuale, dato che la Modernità ha forse modificato volto, ma nella sostanza è
rimasta identica riguardo a metodologie e scopi. Sicché quanto Jünger indicava nel
1932 agli uomini più responsabili vale ancor oggi sul piano di una concezione
antiborghese ed “eroica” della vita, capace di risollevarli dallo stato di abbandono
psicologico in cui sembravano precipitati.
Il libro di Jünger si presenta da un lato come una acuta diagnosi del mondo
contemporaneo, lontana da ogni pessimismo di maniera o di ottimismo acritico,
espressa con la forza della drammatizzante fantasia di un grande artista, dall’altra
come l’indicazione di uno stile di vita per non diventare succubi della Modernità e,
al contrario, volgere a proprio vantaggio le sue dinamiche distruttive.
Sicché l'Operaio jüngeriano non è una classe sociale e ancor meno il “lavoratore
proletario”, bensì il simbolo di un nuovo tipo umano capace di trasformare in forza
spiritualmente formatrice tutto ciò che di apparentemente pericoloso presenta l’epoca
ultima. Il che non poteva non interessare l’Evola de Lo yoga della potenza e di
Cavalcare la tigre.
Un libro, quindi, che sul piano polemico si oppone al materialismo economico, agli
ideali di una prosperità da “bestiame bovino”, alla borghesizzazione degli stessi gruppi
che ostentano la divisa dell’antiborghesia, mentre sul piano costruttivo intende
affermare la necessità di una educazione volta a formare un nuovo tipo d’uomo,
disposto a dare assai più che a chiedere, al fine di superare la crisi da cui è sconvolto il
mondo moderno. Infatti, la “via della salamandra” dell’Operaio jüngeriano che passa
indenne attraverso il fuoco, è identica al “cavalcare la tigre” dell’“uomo differenziato”
evoliano.