Le piante inebrianti sono state ovunque considerate
un dono che le divinità fecero agli uomini per permettere
la comunicazione con la sfera divina, con il mondo
degli spiriti o degli antenati. Tale credenza ha portato
all’elaborazione del mito d’origine della pianta inebriante,
che spiega, motiva, e continuamente fonda la sua
esistenza e il suo rapporto causale con l’uomo.
Un mito più o meno elaborato, a volte ben preservatosi
nelle cosmogonie e nelle antropogonie delle popolazioni
tradizionali, in altri casi rintracciabile in un racconto,
una novella o un semplice aneddoto, come forma
residuale folklorica degli antichi miti.
Nel testo Samorini raccoglie e spiega i racconti mitologici
delle più disparate fonti vegetali inebrianti: dagli stimolanti
quali caffè, tè, tabacco, coca, ai narcotici e sedativi come le
bevande alcoliche e il papavero da oppio, alle fonti visionarie
e allucinogene quali canapa, peyote, mandragora, ayahuasca, funghi.
Con un’osservazione che spazia fra le culture umane
attuali e del passato, riemergono le origini siderali della vite,
il parto vegetale della prima donna di questo mondo (ayahuasca),
i miti che vedono nascere piante inebrianti nel luogo di
amplessi umani (tabacco) o divini (kava), o incestuosi (coca),
passando per quelli che lo vedono originare dalla tomba di
donne morte ingiustamente (papavero) o per mal d’amore (betel),
o che originano per volontà divina come fattore salvifico
tribale (peyote, iboga).